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domenica 15 gennaio 2012

PSICOLOGIA DEL VOLO (parte seconda)


Questa parte trascritta da un articolo di Ornella Magnaguagno, si è rivelata molto completa e interessante ponendo dei quesiti che effettivamente ogni pilota dovrebbe porsi con l’intento, di chiarire al meglio come avvicinarsi ai voli consapevoli del mezzo che usiamo, dell’ambiente in cui ci muoviamo e di noi stessi. Dopo aver riletto questa parte prima di trascriverla mi sono reso conto di quanto sia ancora attuale (dopo diversi anni), il contenuto di questo capitolo anche se può sembrare noioso vi consiglio di leggerlo attentamente.

RAPPORTO UOMO-MACCHINA

E’ importante ai fini della sicurezza che esista un affiatamento tra pilota e la vela. Le caratteristiche tecniche del mezzo devono inoltre essere adeguate al livello di preparazione, capacità e sensibilità del pilota. E’ evidente a tutti che un neo brevettato non potrà essere considerato in equilibrio sul piano sicurezza ai comandi di un mezzo da gara ad elevate prestazioni, qualunque siano le condizioni ambientali in cui il volo si svolge. E’ forse meno evidente, ma anche un pilota esperto abituato alle prestazioni ed alla reattività di un mezzo dal pilotaggio altamente tecnico può trovarsi paradossalmente in condizioni di volo di minor sicurezza quando è ai comandi di un’ala dal pilotaggio meno esigente; questo squilibrio può essere spiegato sia in termini di eccessiva confidenza dettata dalla consapevolezza di avere tra le mani un mezzo semplice che potrebbe spingere il pilota ad abbassare il livello di concentrazione o, peggio, ad effettuare con leggerezza manovre rischiose, sia in relazione al diverso tipo di risposta ai comandi e le diverse prestazioni che potrebbero cogliere il pilota di sorpresa.

RAPPORTO UOMO-AMBIENTE

Questo rapporto è il più delicato e difficile da analizzare, poiché caratterizzato da elementi soggettivi. Prendiamo un pilota con vela adeguata al suo livello (equilibrio uomo-macchina) che vola in condizioni ambientali compatibili col suo mezzo (equilibrio macchina-ambiente), c’è ancora la componente di rischio dovuta all’iterazione uomo-ambiente. Ci sono, infatti, situazioni che influiscono sul pilota e che non gli consentono di affrontare il pilotaggio in condizioni psicofisiche normali, aggiungendo fattori di rischio. Queste situazioni costituiscono appunto l’ambiente in cui il pilota deve ricercare il proprio equilibrio. Ambiente inteso quindi come reazione soggettiva a determinate condizioni meteorologiche, ambiente inteso come situazione di volo (affollamento, vicinanza ai costoni, chiusure impreviste ecc.), ambiente inteso come stato fisico (stanchezza, salute), ambiente inteso come rapporto emotivo con gli altri e con se stessi. Quel velato timore che ci pervade talvolta dopo un periodo di inattività di volo più lungo del solito e che ci accompagna fino al decollo; l’apprensione dopo una falsa partenza; lo stato d’animo di chi decolla per primo e va a sondare le condizioni dell’aria, o per ultimo, senza assistenza al decollo. Sono alcuni esempi di alterazione di quel delicato equilibrio uomo-ambiente che richiedono, per essere neutralizzate ai fini della sicurezza, un maggior impegno ed una maggiore concentrazione. Altre situazioni invece, come stanchezza, euforia e alcool, condizioni fisiche alterate, dubbi sulla propria capacità di fronteggiare determinate condizioni meteorologiche comportano squilibri uomo-ambiente che introducono nuovi fattori di rischio non neutralizzabili e che dovrebbero indurre il pilota coscienzioso a rinunciare al decollo, in definitiva, la sicurezza in volo dovrà essere ricercata attraverso:

1. Scelta di una vela progettata e costruita a regola d’arte che ha superato le prove di omologazione.
2. Scelta di una vela adatta alle condizioni d’impiego cui sarà sottoposta e dimensionata per il peso del pilota.
3. Scelta di una vela adatta al livello del pilota.
4. Cura nella conservazione e manutenzione della vela.
5. Ricerca dell’affiatamento vela-pilota, affiatamento che potrà richiedere un periodo più o meno lungo d’adattamento con voli in condizioni particolarmente controllate per evitare di aggiungere nella fase di squilibrio uomo-macchina anche fattori di rischio derivanti da uno squilibrio uomo-ambiente.
6. Individuazione delle condizioni meteorologiche critiche, non per il mezzo in sé ma, anche e soprattutto in relazione alla capacità del pilota per gestire situazioni di pilotaggio più impegnative, anche sul piano emotivo.
7. Valutazione di qualunque squilibrio uomo-macchina-ambiente si evidenziasse e, nel dubbio, capacità di rinunciare al decollo.

Cerchiamo ora di chiarire meglio questi concetti. Anzitutto che cosa s’intende per equilibrio? Potremmo in questo contesto definirlo come quella condizione che ci consente di:

“ CONOSCERE “ PREVENIRE “ CONTROLLARE “ SITUAZIONI DI POTENZIALE RISCHIO “

Per realizzare l’equilibrio uomo-macchina, quindi, un pilota deve anzitutto conoscere la sua macchina, il modo in cui questa reagisce ai comandi, le tecniche di pilotaggio nelle diverse situazioni in cui possono venire a trovarsi durante il volo, le manovre da evitare, i limiti della macchina stessa. E questa è solo la premessa perché ad una preparazione teorica deve affiancarsi anche la possibilità di mettere in pratica le conoscenze, ossia una effettiva capacità di controllo del mezzo: l’ESPERIENZA. Questo non vuol dire necessariamente affrontare il volo in condizioni rischiose, per tutti coloro che non hanno raggiunto i massimi livelli di conoscenza ed esperienza. Resta, infatti, ancora da giocare la carta prevenzione per stabilire una condizione d’equilibrio nelle fasi evolutive della formazione di un pilota. Si eviterà quindi di impiegare il mezzo in condizioni che richiedano sensibilità e capacità di pilotaggio non ancora raggiunta. Analoghe considerazioni si possono fare per l’equilibrio uomo-ambiente. Anche qui è richiesta una conoscenza teorica di base associata a esperienza e filtrata da un’azione preventiva che consenta al pilota di evitare a priori situazioni che non è pronto ad affrontare. Qui però c’è una complicazione in più: mentre nel rapporto uomo-macchina col passare del tempo conoscenza è capacità non regrediscono normalmente, salvo nel caso di lunghi periodi d’inattività che potrebbero pregiudicare l’affiatamento raggiunto con il proprio mezzo, quando si parla di rapporto uomo-ambiente questo può essere influenzato anche in maniera notevole e in tempi brevi da condizioni fisiche o psichiche alterate per indisposizione, stanchezza, pesantezza, stress, agitazione, tensioni, ebbrezza da alcool o psicofarmaci, tutti fattori che possono ridurre i riflessi, la concentrazione del pilota introducendo fattori di rischio. In questi casi solo con un’adeguata azione preventiva si potranno garantire situazioni d’equilibrio uomo-ambiente. Il binomio macchina-ambiente trova anch’esso il suo equilibrio attraverso l’uomo. È il pilota, infatti, che deve conoscere i limiti della macchina in relazione al piano di volo, o alla velocità in funzione di particolari caratteristiche meteorologiche. È il pilota che deve infine, conoscere e mettere in pratica quegli accorgimenti ed interventi di controllo e manutenzione sulla vela che ne garantiscano un buon grado di conservazione. Da queste considerazioni, si può dedurre che è sempre l’uomo che determina il grado di sicurezza in cui si svolge il suo volo percui, non hanno torto coloro che affermano che tutti o quasi gli incidenti si possono ricollegare ad errori o manchevolezze del pilota.

NEO-BREVETTATO

È questa senz’altro la fase più critica nella carriera di un pilota. Disponendo di una base di conoscenze tecniche, l’esperienza è certamente limitata. Il pilota è chiamato a fare le sue valutazioni, e le scelte in prima persona. È in grado di farle? In che misura e con quale efficacia? La risposta è soggettiva, legata al temperamento dell’individuo, alla sua maturità: c’è il caso limite di chi a fine corso si sente un padreterno, padrone dell’aria, spesso tendente a sottovalutare i rischi e a sopravvalutare le proprie capacità (e abbiamo qui delineato l’identikit del candidato a entrare nella statistica degli infortuni). C’è chi, e per fortuna sono i più, conscio della sua labile situazione, cerca di sopperire alle proprie mancanze e insicurezze continuando a svolgere l’attività di volo in contatto con la scuola o aggregandosi in gruppo con altri piloti per cercare di attingere anche dall’esperienza altrui quegli elementi che gli mancano per completare il quadro della propria formazione.

PSICOLOGIA PRE-VOLO PRE-AGONISTICA

Il controllo dell’ansia che precede una prestazione agonistica gioca un ruolo rilevante nel successo dell’impresa: l’insorgere di sensazioni di scarsa fiducia in sé in questa fase della competizione o in qualsiasi momento significativo della nostra vita sociale, un esame, un colloquio di lavoro, un incontro imbarazzante, una normale impresa sportiva non agonistica, porta a reazioni consce quali pensieri negativi, tendenza a chiudersi in sé, difficoltà di coordinamento di movimenti già ben acquisiti, che disturbano la concentrazione ma, soprattutto, che possono compromettere o non ottimizzare i risultati. Da oltre un decennio, la medicina sportiva prende giustamente in considerazione l’aspetto psicologico dell’allenamento fin dai primi approcci con lo sport giovanile e sono adeguatamente analizzate le motivazioni dell’atleta, la sua aggressività, la competitività, la reazione alla sconfitta.
La gara rappresenta il momento di massimo coinvolgimento emotivo, la prova nella quale l’atleta mette in discussione buona parte dei suoi investimenti psicologici e fisici e può anche avere una certa risonanza sociale. In queste situazioni l’atleta ha un certo tipo di risposta che lo prepara all’azione ambientale ritenuta pericolosa. Questa risposta può essere normale o patologica. Nel primo caso un certo livello d’eccitazione o di prontezza (al di sopra o di sotto alla quale si registrerebbe un deterioramento) che permette, di eseguire al meglio la propria prestazione. Una risposta patologica invece può essere così intensa da disturbare l’esecuzione e rendere il soggetto vulnerabile ad ogni situazione contraria. La reazione più frequente è la perplessità che si manifesta in azioni tendenti alla ricerca di soluzioni, irrequietezza, atteggiamenti corporei, attività scarsamente finalizzata. In campo agonistico l’ansia si può rappresentare con una gaussiana, circa una linea ad U rovesciata. Nella fase di preparazione di una gara parte da un livello molto basso, determinato dalla previsione e l’attesa dell’evento, l’importanza della gara, la personalità dell’atleta, le sue esperienze precedenti. L’ansia aumenta: con l’avvicinarsi dell’evento poiché nel soggetto è più viva l’immaginazione della situazione attesa e raggiunge il suo picco, quando l’esperienza è vissuta nella realtà e la vivacità degli stimoli reali rispetto a quelli immaginativi è al massimo. Questo picco può corrispondere a una qualsiasi fase significativa per l’atleta: l’inizio della gara, la fine o un altro momento temuto. Superato questo periodo la linea scende più ripida che nell’ascesa ed il soggetto recupera rapidamente il suo status standard. Una caratteristica sembra comune: indipendentemente dagli avversari e dagli obiettivi, la risposta dell’atleta alla situazione-gara sembra essere immutabile. L’ansia non conosce assuefazione.

LE CAUSE:

Si ritiene erroneamente che la competitività sia collegata ad un atteggiamento belligerante, quindi aggressivo, a tendenza a dominare, ad imitare, a creare conflitti, a prendersi rivincite non solo in campo agonistico ma anche nella vita professionale e sociale. La competitività invece definisce più genericamente una propensione alla lotta per la vita, la capacità di superare se stessi, l’allenamento allo sforzo, l’affermazione del potenziale umano. L’agonismo implica quindi l’insorgere di uno stato d’ansia poiché rappresenta il momento della sfida, in cui è ribadita o messa in discussione l’affermazione personale, la realizzazione di sé, la propria soddisfazione. L’ansia trova le sue motivazioni nel vissuto precedente dell’atleta quindi, nella sua esperienza. Quando la persona anticipa le condizioni di gara e le loro variabili, avversari temibili, tattiche, strategie, paura dell’insuccesso, insorgono dei blocchi psicologici che si manifestano in uno stato di disagio riconoscibile nell’ansia. Disagio che a volte può essere innescato anche da fattori oggettivi quali: richieste eccessive, da parte dei dirigenti, stampa, pubblico, sponsor, rispetto alle proprie attese. Ingiusto apprezzamento degli sforzi dell’atleta da parte di figure importanti (tecnico, dirigente, compagni di squadra) ostacoli, posti dal tecnico o di altro tipo, nella realizzazione di aspirazioni ritenute adeguate.

REAZIONI:

La tensione che precede la prestazione agonistica, nelle situazioni più comuni e non patologiche, dà luogo a reazioni naturali. Sono questi i piccoli riti propiziatori che sono messi in pratica prima delle situazioni ritenute importanti: un particolare dell’abbigliamento che s’indossava durante una gara che ha avuto esito positivo, la sequenza delle manovre da eseguire, il segno della croce prima di partire. Ci sono casi di preparazione psicologica che fanno leva su una condizione d’autoaffermazione del tipo “devo riuscire” o “sono il migliore” o su tecniche d’autocontrollo, meditazione etc. frustrazioni di tipo oggettivo (le cui
cause sono attribuite ad altri) possono far insorgere sentimenti d’ostilità che portano a comportamenti inconsci vendicativi. Le reazioni si manifestano con fughe da responsabilità attuate con dimenticanze, disattenzioni a volte decisive. Il soggetto può arrivare ad assumere un atteggiamento regressivo di dipendenza e cercare conforto e rassicurazione in figure protettive (allenatore, tecnico, compagni più esperti) ponendo continue richieste di conferme, privilegi, attenzioni.

PSICOLOGIA PRE-VOLO PRE-AGONISTICA

In caso d’insuccesso spesso l’atleta ricorre a meccanismi di difesa con lo scopo di esonerarlo dall’impegno agonistico e che si può manifestare in disinteresse, tendenza all’incidente, autolesionismo.
Reazioni di questo tipo portano ad un effettivo calo di rendimento che rafforzerà le risposte ansiose. Nelle manifestazioni più accentuate, la sintomatologia può essere divisa in due gruppi: quella che interessa la sfera psichica e comportamentale oppure quella somatica o funzionale. Del primo gruppo: incapacità di non pensare alla gara. Il pensiero è preso da fantasie, paure, ricordi relativi a situazioni di gara precedenti. Irrequietezza, irritabilità, e labilità emotiva. Incapacità di concentrarsi e capacità percettiva inefficace. Difficoltà nei rapporti interpersonali, con compagni, con il tecnico, che spesso si traduce in eccessive richieste d’aiuto, a volte mascherate da richieste di tipo tecnico. O atteggiamento contrario di chiusura rispetto agli altri, incapacità di recepire suggerimenti e supporto psicologico. Dal secondo gruppo: inversione del ritmo sonno-veglia, difficoltà a addormentarsi o a svegliarsi, sonno leggero, poco riposante. Irregolarità delle funzioni digestive: inappetenza o appetito eccessivo. Minzione frequente, funzioni espulsive irregolari. Disturbi dell’apparato cardio-circolatorio (aumento della pressione arteriosa o tachicardia). Disturbi dell’apparato respiratorio (respiro più frequente e superficiale). Aumento del tono muscolare medio (con perdita di fluidità e precisione nei movimenti), possibilità di contrazioni muscolari. Aumento della sudorazione (ascelle, mani) spesso collegato a difficoltà di rapporti interpersonali, sensazione d’insicurezza, abbassamento dell’autostima. Sentimento d’inferiorità rispetto al compito affidato, d’inadeguatezza nella gestione della situazione.

COME DIFENDERSI:

Per far fronte a queste situazioni bisogna affrontare il problema da più lati. Innanzi tutto è necessario riconoscere gli individui che hanno un elevato bisogno di successo e autoaffermazione e cercare di sviluppare queste caratteristiche. Controllare lo stato emotivo prima e durante la gara, scegliendo un adeguato comportamento agonistico. Valutare i processi percettivi per un’idonea scelta di soluzioni tattiche e strategiche.

BISOGNO DI SUCCESSO:

Ovviamente nello sport il risultato più ambito è la vittoria, ma il successo può essere un fatto personale, che si basa sui livelli raggiunti nelle prestazioni precedenti. La motivazione all’allenamento in funzione della vittoria è diversa da quella che porta solo al bisogno di sentirsi più soddisfatti; in ogni modo la realizzazione di se richiede percezioni chiare, accettazione di se, spontaneità apprezzamento della qualità della vita, conoscenza di se. Le caratteristiche specifiche dei soggetti che sentono un particolare bisogno di raggiungere un risultato si manifestano con: continuità nel lavoro che è eseguito con efficienza e velocità, qualità eccezionali, tendenza ad assumere la responsabilità delle proprie azioni, capacità di assumere rischi e godere dello stress, desiderio di conoscere i risultati della propria attività per valutare la possibilità di miglioramento. La preparazione dovrebbe garantire, anche alla presenza di successi, un impegno continuato e soddisfazione personale, e ciò è vero sia nello sport che nell’ambiente di lavoro: la produttività e la soddisfazione non aumentano quando i metodi e le strategie sono dettati da altri. Gli atleti dovrebbero fissare degli obiettivi personali o di squadra elevati ma raggiungibili, a breve e a lungo termine. I programmi che portano dei miglioramenti vanno mantenuti. L’atleta si assume la responsabilità della durata e qualità della preparazione, e deve valutare quanto sia motivato a raggiungere gli obiettivi che si è proposto. I fattori che determinano le performance vanno discussi tra i compagni e con il tecnico, tenendo presente che giustificazioni ed accuse non sono costruttive. Vanno evitate perdite di controllo emotivo, sensi di colpa o confronti negativi con altri atleti di successo quando si viene meno al raggiungimento degli obiettivi attesi. La mancanza d’impegno durante la gara va analizzata a fondo. Qualora sia possibile, bisogna esaltare il sentimento di fiducia in se stessi: l’atleta deve essere il primo “tifoso di se stesso” ed incitarsi in ogni occasione. Un alto livello di motivazione aiuta più di qualunque forma d’incoraggiamento che provenga dall’esterno. La conoscenza dei propri comportamenti, sia in gara sia fuori gara, favorisce lo sviluppo di quelli che incrementano la prestazione e blocca quelli che la ostacolano.

CONTROLLO DELLO STATO EMOTIVO

Il giusto atteggiamento psicologico o cui affrontare una prova è decisivo ai fini del risultato. A questo scopo è utile riflettere sulla condizione psicologica assunta prima di una buona prestazione, e prima di una mediocre, cercando di riconoscere come ci si sentiva, e su che cosa si era concentrati prima di questi due eventi. Tale conoscenza permette d’essere consapevole di quali siano gli elementi su cui far leva o da bloccare prima di una competizione.
Queste riflessioni possono seguire una scaletta di questo tipo:
(Questionario riflessioni pre-gara di T. Orlik, Psyching for sport: mental training for athlets).

1. Come ti sentivi nei momenti che precedevano l’inizio della gara?
A. Non attivato (mentalmente e fisicamente scarico).
B. Molto attivato (mentalmente e fisicamente carico).
C. Concentrato e sicuro.
D. Molto preoccupato e spaventato.

2. Cosa ti eri detto o avevi pensato prima dell’inizio della gara?
3. Com’eri concentrato durante la gara (di che cosa eri cosciente o a che cosa prestavi attenzione durante la prestazione)?
4. Ora pensa alla tua peggiore prestazione e rispondi alle stesse domande.

Ai fini della valutazione del proprio comportamento competitivo invece, si può provare a rispondere periodicamente al questionario che segue e a verificare in che misura si stiano producendo dei cambiamenti nei comportamenti che ostacolano l’attività:
(Questionario sul comportamento competitivo di D. V. Harris e B. L. Harris, The Athlets guide to sport psycology).

1. Rendo meglio in allenamento che in gara.
2. Provo fastidio se mentre gareggio sono presenti persone per me importanti.
3. Prima della gara ho difficoltà a dormire.
4. Mi preoccupo di quello che gli altri pensano della mia prestazione.
5. Quando sbaglio durante la gara ho difficoltà a recuperare la concentrazione.
6. Durante la gara mi distraggo.
7. Quando mi preparo per la gara ripeto comportamenti con quasi automatica regolarità.
8. Commetto più errori quando la tensione è maggiore e la gara è verso la fine.
9. Poco prima della gara mi sento in panico.
10. Mi rimprovero quando commetto un errore stupido durante la gara.
11. Durante la gara quando il tecnico o i compagni mi rimproverano, perdo la concentrazione.
12. Mi occorre sempre un poco per vincere l’agitazione ed entrare in gara.
13. In gare importanti ho paura di non sapere rendere così bene come sono capace.

La risposta ansiogena può essere controllata anche con alcuni espedienti che portano ad enfatizzare o sopprimere alcune esperienze vissute dall’atleta, quali: 

- Accentuare la sensazione di vittoria provata nelle competizioni migliori.
- Soffocare l’insorgere di stati emotivi che possono compromettere il comportamento. 
- Riconoscere i momenti d’eccitazione che portano ad amnesia totale, cambiamenti della sfera percettiva, distacco dal dolore e dalla fatica, dissociazione con l’ambiente.
- Uso d’immagini rassicuranti e suggestive, associazione della sensazione di vittoria con strategie d’autocontrollo. 
- Visione della sequenza motoria relativa alla prestazione.
- Restringere l’attenzione su particolari rilevanti della performance cosicché i segnali negativi o di distrazione siano vissuti in maniera distaccata, passiva. A questo punto va abbinato un programma di rilassamento, quindi di sviluppo delle capacità d’autocontrollo al fine di ridurre l’ansia agonistica con l’assunzione di atteggiamenti adeguati alla situazione. L’esperienza in fatto d’autocontrollo aumenta la fiducia in sé e favorisce la concentrazione. Sono inoltre utili una consapevolezza delle proprie tensioni muscolari collegate a precise condizioni emotive e l’attuazione di qualche esercizio di contrazione-rilassamento.

STIMOLAZIONE DEI PROCESSI PERCETTIVI:

l’uomo non potrebbe adattarsi biologicamente all’ambiente se i suoi sensi non gli permettessero di immaginarsi obiettivamente l’ambiente. “ Lenin B. H. opere complete “ il metodo, definito ideomotorio, si avvale dell’immaginazione per vivere mentalmente un movimento o una situazione che, sotto il controllo cosciente dell’individuo, è ripetuta in maniera sistematica e pianificata nelle specifiche sequenze motorie che riproducono alcuni momenti critici della competizione (che potrebbero essere, per esempio, il decollo, l’atterraggio o altre situazioni di particolare stress) fino a consolidare i movimenti in automatismi. A questo punto la concentrazione non sarà più rivolta al singolo movimento, perché esso è automatizzato, quindi è divenuto “routinario” ed è sganciato dall’iniziale controllo cosciente e l’attenzione potrà essere dirottata sulla propria condizione psicofisica, per adattarla alle esigenze del momento. Le varie discipline sportive e i momenti di una stessa, richiedono risposte “attentive” diverse; e quindi importante che ogni atleta sappia a che cosa prestare attenzione, quando essere attento e come mantenersi concentrato nei momenti critici. In sintesi prestazioni d’alto livello, sono possibili solo quando l’attenzione è focalizzata su un numero limitato, e ben definito di stimoli e corrisponde alle specifiche richieste poste dalla situazione. Si ritiene che l’immaginazione motoria svolga una funzione programmante che aiuta a controllare i propri muscoli, particolarmente nelle fasi del movimento in cui è più facile incorrere in errori, e a sviluppare la capacità di rilassamento (la difficoltà a rilassarsi e spesso collegata ad un’immaginazione inadeguata). È interessante osservare alcune differenze comportamentali rilevate nelle medesime circostanze su atleti cosiddetti esperti e su principianti (vedi tabella a fine capitolo). Per l’udito, la percezione d’informazioni acustiche prodotte, ad esempio dall’appoggio successivo dei piedi sul terreno tende, con la pratica, a divenire una guida interiorizzata del movimento ed innesca nell’atleta esperto correzioni in parte automatizzate durante l’esecuzione del gesto. La funzione visiva tende ad assicurare la realizzazione migliore dell’azione motoria, è utilizzata sempre meno per controllare i propri movimenti, fino ad essere teoricamente possibile ad occhi chiusi (gli spostamenti dello sguardo sono stati identificati da un casco ottico sul quale è montata una telecamera che registra la scena osservata e quindi la strategia di esplorazione visiva dell’atleta durante la prestazione).



PROPRIOCETIVO = la consapevolezza fisica che il soggetto ha della propria posizione, e dei suoi gesti, rispetto all’ambiente e allo spazio che ha a disposizione.

Queste considerazioni non devono essere utilizzate come strumento atto a distinguere il neopilota dal pilota esperto, bensì sono di primaria importanza per coloro che vogliono comprendere le proprie capacità e di conseguenza valutare non solo in quale fascia collocarsi, ma quantificare quantità, qualità e velocità d’apprendimento.
Un monitoraggio completo e costante delle proprie capacità pratiche, fisiche, psicofisiche e teoriche non solo contribuiranno ad un rapido accrescimento delle prestazioni ma permetterà di farlo in sicurezza, considerando che le future generazioni di neopiloti, grazie a materiali e tecniche molto evolute, rischieranno di saltare dei passaggi durante la propria crescita poiché sfruttano una base di partenza nettamente superiore alle proprie capacità.
Il neopilota deve rendersi cosciente dell’importanza primaria che in questo caso la tradizione orale e scritta dei “vecchi piloti” comporta per la propria riuscita in sicurezza, in quanto essendo privo d’esperienze può sfruttare quelle di coloro che hanno vissuto passo per passo l’evoluzione dello stesso Parapendio come velivolo, come tecniche di pilotaggio, come momento d’aggregazione e perché no innegabile stile di vita.

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